Campi News - N.7 Aprile 2020 - Le criticità nell’emergenza

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Le criticità nell’emergenza
 
La relazione educativa ai tempi del Corona Virus

Emergenza, emergenza, emergenza. Questa è la parola con la quale tutti abbiamo dovuto prendere familiarità nelle ultime settimane. Investiti da una situazione nella quale un composito immaginario di narrazioni fantascientifiche ha assunto contorni estremamente reali. Le situazioni emergenziali spontaneamente interrogano il passato, costringono a ripensare il presente, fanno necessariamente guardare al futuro. Qualunque condizione di eccezionalità alimenta preoccupazione, soggettiva e collettiva, viene spontaneo guardarsi indietro alla ricerca di Spiegazioni, di possibilità di cambiamento ma anche di colpevoli e responsabilità.
L’emergenza racconta e rende più chiari pezzi di storia che dicono molto sulle nostre società “avanzate”, nelle quali sempre più spesso settori come la Sanità, l’Istruzione, la Ricerca e l’intero sistema del Welfare non vengono considerati strategici e produttivi e, per questo, scarsamente supportati e finanziati. Questo è il primo pensiero che si è formato, esplosa la situazione. Quando la parola emergenza ha riempito pagine dei giornali - e ore della programmazione televisiva - non mi risultava estranea, nonostante l’evidente eccezionalità del  momento.
Emergenza non è una parola che può essere estranea per chi si occupa di servizi socio-sanitari, assistenziali e di prossimità, siano essi dipendenti pubblici o del mondo del privato sociale. L’emergenza entra spesso nella quotidianità del nostro lavoro, pur in forme più private, resilienti e silenziose.
Il virus colpisce tutti indistintamente, non fa differenze sociali, questo ci viene giustamente detto e ripetuto. E’ un dato medico-scientifico indiscutibile, così come è indiscutibile che le differenze sociali e le criticità preesistenti pesano molto nella gestione quotidiana delle misure di emergenza. Le misure d’isolamento pesano moltissimo sulle famiglie che faticano ad arrivare a fine mese, su chi non ha casa né tutele e garanzie, sulle persone con disabilità che vedono compromessi l’apprendimento, le attività quotidiane e le loro relazioni sociali al di fuori dei contesti famigliari; pesa su quegli studenti che non hanno accesso alle tecnologie, sulle famiglie che non hanno spazi domestici adeguati, sulle situazioni ad alta conflittualità, su quei genitori e figli che non possono incontrarsi senza la mediazione di un educatore, sui minori in situazioni di pregiudizio, su tutte le situazioni di criticità e fragilità in cui, come educatori, siamo chiamati ad  intervenire nell’ordinario.
Per questo abbiamo dovuto ripensare il presente del nostro lavoro e, insieme ai nostri referenti del Distretto Socio-Sanitario, si è cercato di affrontare queste ulteriori criticità nel contesto dell’emergenza globale, consapevoli della ancor più marcata centralità del nostro ruolo in questa situazione.
Pur mantenendo attivi alcuni interventi diretti “di persona”, constatandone e condividendone l’essenzialità, abbiamo riformulato la stragrande maggioranza del nostro lavoro in interventi e forme di supporto a distanza, come hanno fatto tante altre realtà del privato sociale.
Ci siamo chiesti come la relazione educativa - che consideriamo il motore del nostro agire - potesse prendere forma e sostanza su un piano virtuale e non fisico.
Ci siamo chiesti come la condivisione di esperienze tra gli educatori e i ragazzi (ed i loro famigliari) potesse essere mantenuta pur non vedendosi fisicamente, affrontando nel contempo difficoltà tecniche e la forzata rinuncia alle tante sfumature così essenziali nel nostro lavoro: un abbraccio, un lavoro fatto fianco a fianco, uno sguardo, un sorriso, una parola o un rimprovero detti con quel tono particolare e non sempre percettibile attraverso uno schermo; così come situazioni di stacco e leggero allontanamento, a volte necessarie e funzionali al progredire della relazione educativa. Abbiamo deciso quindi di ripartire proprio dall’esperienza comune che stiamo vivendo, che necessariamente mette tutti, “operatori” e “utenti” all’interno della medesima cornice, condividendo questa esperienza e gli stati d’animo ad essa legati. Abbiamo cercato di garantire in primo luogo ascolto ai ragazzi e alle famiglie, di aiutare a fare chiarezza - nei limiti delle possibilità e delle competenze – sui diversi decreti, ordinanze e indicazioni che si sono succedute in queste settimane; abbiamo implementato le attività rispetto all’ambito scolastico, supportando la didattica on line e cercando, insieme agli Istituti scolastici e ai servizi del territorio, di facilitarne la fruizione per quei ragazzi e quelle famiglie in difficoltà (materiali e non); abbiamo, infine, cercato di ripensare le consuete attività relazionali e ludiche in forma diversa, attingendo alle infinite possibilità che può fornire la Rete: attraverso semplici applicazioni si possono fare disegni comuni anche a distanza, si può lavorare insieme alla costruzione di un brano musicale, si possono fare giochi semplici a due o elaborare attività di gruppo, così come si può fare una semplice chiacchierata, magari approfittando di questo spazio - un po’ sospeso - per rielaborare i propri percorsi e guardare al futuro, ripensando e aggiornando obiettivi e, perché no, sogni e aspirazioni.
La relazione educativa viene quindi compromessa in questa fase? Certamente viene messa particolarmente in difficoltà rispetto alla perdita di quell’immediatezza e spontaneità che l’incontro fisico favorisce ma, al tempo stesso, può trarre elementi di innovazione e possibilità nuove. Ho sempre pensato che l’educatore debba essere una figura professionale in grado di leggere il reale, flessibile mentalmente e portato all’innovazione e che, per formazione e indole, sia abituato a trarre possibilità dove si fa fatica a vederne, incline a vedere il possibile oltre lo stato di fatto apparente. Una figura in grado di creare ponti e aperture per entrare e far entrare l’altro. Credo che sia necessario continuare a fare questo: costruire vie di comunicazione, garantire accessi e possibilità.
Analizzare il passato, ripensare il presente e guardare al futuro scritto inizialmente. Guardando al futuro vengono spontanee tre considerazioni:
L’intervento diretto, il vedersi fisicamente, risulta e risulterà sempre fondamentale in qualunque tipo di relazione, così come è evidente che qualunque relazione significativa non si perde con la distanza fisica, se capace di reinventarsi e autoalimentarsi in altre forme.
Ogni situazione emergenziale lascia strascichi, scorie e, purtroppo, a volte macerie: per questo siamo ben consapevoli che ad emergenza finita dovremo lavorare per ricostruire condivisione, cooperazione e relazioni sociali, per implementare ulteriormente “lavoro di rete” così fondamentale sui servizi socio-educativi, per rielaborare, soggettivamente e collettivamente, quanto successo e per ricostruire e rafforzare un senso di comunità. Dovremo farlo attraverso progetti specifici e attraverso un’azione quotidiana e capillare.
Nel farlo sarà necessario mettere a valore un’esperienza per quanto critica e drammatica. Elaborando e condividendo questo vissuto comune (auspicando che sia il più breve possibile) e collocando nella nostra personale cassetta degli attrezzi tutti gli strumenti che abbiamo utilizzato e implementato in questa fase emergenziale, consapevoli che un computer, un telefono, una connessione internet - persino il tanto criticato videogioco “Fortnite” - possono essere strumenti, esattamente al pari di libri, film, attività espressive e manuali da svolgere di persona. Ogni cosa può diventare un tassello per la costruzione di quei ponti e aperture a cui si faceva riferimento.
Leggere il reale, guardare al possibile, cogliere opportunità… anche nell’emergenza.

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